Ammazzarsi non è mai stato così complicato.
E nemmeno così comico. Antonello Rossi, il protagonista di Stavolta m’’ammazzo su serio ( Baldini+Castoldi) di Antonio Amurri, grande scrittore e autore televisivo mancato nel 1992, ha deciso: questa volta è quella buona.
Barbiturici, bicchiere d’acqua, tapparella abbassata. Eppure, che strano, nessuno gli dà retta, nemmeno nel momento dell’estremo gesto.
La moglie è troppo presa dalle sue nevrosi coniugali, l’amante è distratta da un più giovane col fiatone, i figli lo considerano un vecchio soprammobile da ignorare, e lo psicoanalista, beh, lo psicoanalista non risponde nemmeno al citofono. Nemmeno tramite la segretaria.
Così, nel pieno della sua ultima ora di vita, Antonello ci porta a zonzo nella sua esistenza di uomo qualunque, civilissimo e costantemente ignorato.
Un marito democratico, anche troppo, un padre che cerca di non disturbare, un amante che non lascia strascichi, un lavoratore da dimenticare. E infatti lo dimenticano.
Amurri, con la sua penna arguta e irriverente, ci regala una satira affilatissima della famiglia borghese, quella in cui nessuno ascolta davvero nessuno, e dove l’unico modo per attirare attenzione è morire, forse.
Ma nemmeno quello funziona. Perché anche il suicidio, in Italia, diventa un atto burocratico.
Stavolta m’ammazzo sul serio non è solo un titolo geniale: è una dichiarazione di (mancata) guerra a tutte le incomprensioni domestiche, i silenzi matrimoniali e le vocazioni al martirio che infestano la mezza età. E Antonio Amurri, maestro dell’umorismo cinico ma elegante, ci fa ridere là dove sarebbe più naturale piangere. Ma si sa, in certe famiglie, anche il pianto ha bisogno di prenotazione.