Tra i Colli Euganei, a Valsanzibio, sorge Villa Barbarigo. Attorno alla casa si sviluppa un giardino monumentale: fontane, vasche, ruscelli e un intricato labirinto di bosso – tra i più antichi sopravvissuti – guidano chi entra in un percorso che è anche simbolico. Il disegno è di Luigi Bernini, fratello di Gian Lorenzo, e dietro la bellezza barocca c’è un itinerario, un viaggio tra la meraviglia del paesaggio e il racconto delle virtù umane e del cammino verso la salvezza.
Villa Barbarigo, la storia e chi sono i suoi proprietari
La storia di Villa Barbarigo inizia molto prima del Seicento, anche se all’epoca non era ancora una villa. Qualche decennio dopo arrivarono i Contarini, che trasformarono il luogo in una corte con mura e giardini. A quel tempo era già considerato un posto di svago, una residenza di campagna. Alla fine del Cinquecento la proprietà cambiò ancora: passò a Piero Michiel e a Nicolò Ferro. Fu quest’ultimo a immaginare qualcosa di più grande: una dimora elegante, nobiliare. Dopo la sua morte, nel 1619, il sogno fu raccolto dai Barbarigo. Antonio, procuratore della Repubblica di Venezia, e il figlio Gregorio, futuro cardinale e poi santo, portarono avanti l’opera.
La vista su Villa Barbarigo
Fu Luigi Bernini, fratello di Gian Lorenzo, che prese in carico il progetto di disegnare il giardino, e così l’area cambiò aspetto: tra gli alberi comparvero viali, bacini d’acqua e statue che accompagnavano il percorso. Il primo grande tracciato, quello che corre in direzione est-ovest, fu completato tra il 1619 e il 1623. Qualche decennio più tardi, nel 1664-65, si aggiunse anche l’asse nord-sud: anche in questo caso l’obiettivo era stupire, ma non solo, con fontane e giochi d’acqua che spezzavano la linearità del disegno. La famiglia Barbarigo mantenne la proprietà per generazioni, fino all’estinzione della casata nel 1804. Nei secoli successivi, la tenuta passò ai Michiel, ai Martinengo da Barco, ai Donà delle Rose e infine, nel 1929, ai Pizzoni Ardemani, che ancora oggi custodiscono la villa e il parco monumentale, mantenendone intatto il fascino.
Villa Barbarigo e i suoi giardini, tra i più belli in Italia
Nel parco di Villa Barbarigo, i viali si intrecciano tra fontane, vasche e sculture che punteggiano ogni angolo. Il giardino conserva ancora oggi statue e fontane che guidano chi passeggia lungo percorsi pensati per sorprendere e raccontare. Tra le figure che si incontrano ci sono il Tempo, Polifemo, Endimione, Argo e Tifeo, personaggi mitologici e allegorici che danno al parco un’atmosfera sospesa.
Gli esterni di Villa Barbarigo
Il suo disegno segue un’idea precisa: trasformare la visita in un cammino che richiama il viaggio dell’uomo verso la conoscenza e la salvezza, unendo simboli neoplatonici e scenografie barocche. Già dall’ingresso monumentale, decorato con bassorilievi e con la statua di Diana, la dea dei mutamenti e della natura, possiamo comprendere che ci troviamo di fronte a un’esperienza, un viaggio attraverso la natura, anche umana. Proseguendo lungo i sentieri, si incontra l’arco di Sileno, la peschiera conosciuta come Bagno di Diana e, poco oltre, la Fontana dell’Iride. Il momento più suggestivo arriva però con il labirinto di bosso, un dedalo di 1.500 metri che ancora oggi è tra i più estesi d’Europa, e richiama un episodio della vita di San Gregorio Barbarigo. Il percorso prosegue lungo il Gran Viale, costeggiando l’Isola dei Conigli, una garenna naturale che simboleggia la dimensione terrena e limitata della vita. Poco oltre, la maestosa statua di Kronos sembra sospendere il tempo stesso, segnando il passaggio dalla condizione umana a una dimensione spirituale. La scalinata delle Lonze, decorata con versi che richiamano l’Inferno dantesco, ci accompagna all’ultima tappa, che è la Fontana della Rivelazione, coronata da otto figure allegoriche che celebrano le virtù del giardino e della famiglia che lo ha creato.
Il labirinto
Nel parco di Villa Barbarigo si nasconde un labirinto di bosso che sembra uscito da un’altra epoca. Le siepi, fitte e sempreverdi, sono migliaia: molte sono le stesse piantate più di tre secoli fa. Da dentro il percorso sembra infinito, quasi un piccolo mondo separato dal resto del giardino. Il tracciato si allunga per oltre un chilometro e mezzo, con svolte improvvise e vicoli ciechi che confondono chi lo attraversa. Nei progetti originali era un simbolo: il cammino tortuoso richiamava le prove e gli ostacoli della vita, i momenti in cui sembra di perdersi e quelli in cui, passo dopo passo, si ritrova la direzione.
Il labirinto di Villa Barbarigo
In origine, l’ingresso era volutamente nascosto. Si raggiungeva solo dopo aver attraversato tutto il Gran Viale, scendendo verso il Viale Ombroso e trovando un passaggio sopra il “Rio della Chiesa”. Un modo per suggerire che l’accesso alla via della virtù non è mai immediato, ma frutto di una ricerca consapevole. Oggi, per i visitatori, esiste un accesso semplificato, ma il senso di avventura, per fortuna, è rimasto abbastanza intatto. Durante il percorso, sette vicoli senza uscita rappresentano i vizi capitali, ostacoli che richiedono pazienza e capacità di ripartire per ritrovare la giusta strada. Il cammino culmina in una torretta centrale: da qui, osservando il disegno del labirinto dall’alto, diventa chiara la struttura dell’intero percorso, quasi una visione simbolica del proprio ruolo nel mondo. La conclusione del tragitto porta alla Grotta dell’Eremita, uno spazio luminoso e silenzioso, pensato per invitare alla meditazione. Rappresenta il momento in cui, dopo aver affrontato il disordine e le prove del labirinto, l’animo ritrova una dimensione di calma e introspezione. Nei dieci ettari che circondano Villa Barbarigo, il giardino ha mantenuto gran parte del disegno del Seicento. Tra viali, peschiere e sculture, spuntano alberi che hanno radici qui da quasi quattrocento anni. Molti di questi esemplari non erano comuni in Europa all’epoca: arrivavano da terre lontane, dall’Africa, dall’Asia e dalle Americhe, portati dai mercanti veneziani che volevano stupire ospiti e rivali con specie rare. A Valsanzibio erano state piantate varietà che vennero descritte nei cataloghi botanici solo molto tempo dopo.