lunedì 4 gennaio 2021

IL PERICOLO NON E' ESSERE IGNORANTI.......MA NON SAPERE DI ESSERLO!

POVERA ITALIA!

A seguito di importanti eventi politici del 2016 (Brexit e Trump in particolare), abbiamo sentito sempre più spesso parlare di Post-Verità (Post-Truth), tanto che l’Oxford Dictionary l’ha eletta a Parola dell’Anno 2016. La Post-Verità è la manifestazione più pericolosa dell’ignoranza elaborativa e ne dimostra un tratto pericoloso: l’assenza di dubbio. L’ignorante del 1940 aveva deferenza verso il non-ignorante, una deferenza motivata spesso dalla percezione della propria ignoranza. L’ignorante del 2016 spesso non sa di ignorare, tutt’altro: eleva la propria opinione (spesso non-informata) a verità, dandole dignità di relazione con verità acquisite scientificamente. Secondo il Trust Barometer di Edelman nel 2016, a livello mondiale, l’opinione dei pari, vale tanto quanto o più di quella degli esperti, nella percezione della massa (e a questo si accompagna una distanza senza precedenti tra la visione del futuro della minoranza informata e la prospettiva pessimistica e conservatrice della massa non informata).

Dobbiamo combattere questa nuova forma di ignoranza e per farlo occorre necessariamente ridefinire la parola «ignoranza». Non abbiamo bisogno di nuove informazioni, abbiamo bisogno di strutturare meglio il pensiero che le elabora. Come fare? Utilizzando uno strumento «classico»: l’istruzione. L’umanità non è mai stata in una condizione migliore per affrontare il problema: il numero di persone istruite non è mai stato così alto. Dobbiamo solo calibrare l’istruzione affinché diventi lo strumento per sconfiggere (anche) questa nuova ignoranza.

Molti di voi nei commenti sui social hanno avanzato ipotesi alternative per spiegare quella che definisco «ignoranza elaborativa», principalmente: capacità di elaborazione dell’informazione, qualità dell’informazione, metodo di elaborazione. Nelle righe seguenti vorrei esprimere il mio pensiero in merito, ringraziando tutti per l’inaspettato coinvolgimento nella conversazione e soprattutto per il tempo che mi avete dedicato. Il concetto di «capacità» è definito su base temporale: la capacità intende una quantità massima di informazione elaborata, nell’unità di tempo (e non c’entra con l’efficacia dell’elaborazione stessa, come sembra intendere qualcuno superficialmente). Quindi il problema principale è che se l’informazione da elaborare supera la capacità massima di elaborazione riscontrata nel più «capace» degli esseri umani, allora si realizza il paradosso: compio azioni sub-ottimali frutto di ignoranza, ma non perché non esistano informazioni accessibili al riguardo. Ma perché l’accessibilità a queste informazioni è inibita dalla loro quantità rispetto alle mie capacità elaborative. E non c’è «abilità» di elaborazione che risolva il problema.

Si tratta dunque una questione che prescinde dall’intelligenza (qualsiasi cosa questa parola possa significare) del singolo. Il secondo punto sollevato da molti è: la qualità dell’informazione. Ma qui credo ci sia un malinteso: l’informazione non è né giusta né sbagliata. Tende a essere solo un dato. Il modo in cui interpretiamo questa informazione, la elaboriamo e la combiniamo, generando conoscenza, può essere giusto o sbagliato, non l’informazione. Una bufala sull’esistenza delle scie chimiche è un’informazione che genera conoscenza sbagliata se è presa per informazione che riflette una visione affidabile della realtà. Ma è un’informazione che genera conoscenza giusta se è presa per una notizia costruita da qualcuno con un codice etico pessimo, interessi economici malcelati o una deficienza logico-deduttiva.

Quindi l’informazione è sempre di qualità, a patto di avere il giusto tempo (ancora qui torniamo) per elaborare, analizzare, sottoporre a critica. Infine resta il punto del metodo. Da alcuni commenti sembrerebbe che ci siano esseri umani di serie A, depositari di un metodo per elaborare le informazioni, ed esseri umani di serie B, che questo metodo non lo possiedono (e mi riferisco al “metodo” per dare dignità alla critica, rifiutando a priori di commentare qualsiasi opinione che muova dall’idea che esistano a priori cervelli di serie A e cervelli di serie B, tra esseri umani non affetti da malattie o disabilità). Premesso che l’efficacia di questo supposto metodo è comunque inficiata dal tempo per l’elaborazione (vedi discorso sopra), un metodo per definizione si apprende. Per questo l’istruzione gioca un ruolo fondamentale. Secondo me non è nelle differenze genetiche a priori fra esseri umani il problema (io sono intelligente, gli altri imbecilli), ma nelle differenze di esperienze apprese (io ho avuto accesso a buoni maestri che mi hanno aiutato a costruire buoni metodi, gli altri no). Un metodo è tempo: investo tempo per crearlo, analizzando (ancora tempo) e ibridando (con altri metodi/conoscenze acquisiti, quindi tempo) e una volta creato può essere utilizzato facilmente sulla stessa classe di problemi per cui è nato, risparmiando tempo. Hanno inventato le moltiplicazioni, apprendo il metodo, lo applico. La mia capacità di elaborazione è velocizzata e posso incrementare la complessità dei problemi che posso affrontare nell’unità di tempo. Non è intelligenza. È buona scuola. E a noi serve – è questo il mio punto – una scuola nuova, che faccia istruzione all’altezza delle sfide attuali.


 

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AUGURI A…

… BONO VOX Compie  65 anni   Bono Vox , il cantante e leader degli  U2. Auguri leggenda. 💪👍❤️✅👌👋