venerdì 16 luglio 2021

INTERVISTA AD ALESSIA TROST

"COSI' SI E' RIACCESO IL FUOCO"

di Michele Antonelli (fonte Gazzetta dello Sport)

La prima pagina del libro resta la più bella: "Campo sportivo di Pordenone, estate, tardo pomeriggio. Amici e gavettoni. Avevo dieci anni, è l’istantanea che ho dell’atletica. Quella che mi ha accompagnato fino a oggi". Alessia Trost ripercorre la sua storia con un salto, ai momenti in cui tutto è cominciato. In fondo, a saltare è abituata. Altista, classe ’93, si è preparata alle Olimpiadi di Tokyo dopo un periodo di ricostruzione anche al campo Dordoni di Sesto San Giovanni sotto la guida di Roberto Vanzillotta, con in testa una motivazione chiara: "Mettere in pedana le prestazioni migliori dell’anno".

Come ha vissuto l’ultimo periodo?

"L’avvicinamento a Tokyo nasce da un anno di ripartenza, alla fine dell’ultima stagione il mio fisico era al 50% delle sue possibilità. Ho lavorato molto per ritrovare la serenità necessaria, dal punto di vista sportivo e personale. La testa è già in Giappone, darò il massimo".

Come ha preparato l’appuntamento olimpico?

"Il salto in alto è una disciplina specifica, il focus del lavoro è il gesto tecnico. Il mio programma di allenamento si divide in due parti, una di preparazione fisica e una di tecnica, poi da correlare. Durante l’inverno di solito ci sono 10 allenamenti settimanali, con due-tre sedute di tecnica relativa al salto, due-tre sessioni di forza e alcune dedicate a velocità, corsa e pliometria (che consiste nell'eseguire movimenti veloci ed esplosivi per aumentare la potenza, ndr). Man mano che si avvicina una gara, la quantità si abbassa e si punta sulla qualità".

Una passione che nasce da lontano…

"Quando ho iniziato con l’atletica ero davvero piccola, mio padre era un podista e ho fatto un sacco di gare di mezzofondo. Poi ha cominciato ad allenare una squadra di ragazzi e l’ho seguito".

Ha praticato altri sport?

"L’atletica ha accompagnato la mia crescita, anche se sono sempre stata iperattiva. Ho provato con il nuoto senza successo (ride, ndr), e con il biathlon. Mi piaceva molto, ma è stato difficile praticarlo non abitando in montagna".

Come si punta al miglioramento in uno sport come il salto in alto?

"Bisogna analizzare le proprie performance per individuare i punti deboli e capire se le mancanze sono tecniche, fisiche, di approccio o di condizione generale. Solo allora si può cominciare a lavorare. Se le motivazioni sono tecniche è più facile intervenire, ma serve tempo per correggere un automatismo, aumentando per esempio l’ampiezza di un passo. Anche se il problema è nella preparazione fisica ci vuole pazienza, ma non è difficile impostare un blocco di lavoro per limare le imperfezioni".

Com’è impostata la sua dieta?

"È una non dieta (ride, ndr). Il mio modo di mangiare è equilibrato e costante, non prevede eccessi o rinunce. Ho un solo punto debole, la parmigiana".

Nel 2013 un salto che ha cambiato le prospettive della sua carriera.

"Al Meeting internazionale di Třinec, in Repubblica Ceca, ho toccato i 2 metri (terza italiana a riuscirci dopo Sara Simeoni e Antonietta Di Martino, ndr). Avevo sempre vissuto alla giornata, ma da lì l’obiettivo è diventato restare a certi livelli e portare a casa una stagione saltando in quel modo con costanza".

Per arrivare a quest’anno.

"Prima gara della stagione, subito un salto di 1,93. Atterrando sul saccone ho sentito un brivido, si è riacceso un fuoco dentro di me. Ho capito di essere ancora in grado di competere, è stata la sensazione più bella". Per ora.


 

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