martedì 1 febbraio 2022

IL GREEN PASS?

UNA "CAGATA" PAZZESCA...PEGGIO DELLA CORAZZATA POTEMKIN

di Gilberto Corbellini (fonte Linkiesta)

Mentre la Danimarca ha cancellato, primo paese in Europa, tutte le restrizioni collegate a Covid-19, in Italia si naviga a vista. Come era prevedibile, la scadenza del green pass con tre dosi è in corso di cancellazione, stante che la durata del lasciapassare è stata ridotta a sei mesi e che in assenza di indicazioni di una quarta dose chi è in possesso del green pass cosiddetto rinforzato, tra un paio di mesi, per fare qualunque cosa dovrebbe ricorrere ai tamponi. Se serviva una prova della farraginosità del green pass, nella forma di ricatto per indurre a vaccinarsi, questa decisione è la ciliegia sulla torta. Sul green pass, ci siamo appassionatamente divisi nei mesi scorsi. Per alcuni si tratta di una forma di “dittatura sanitaria”, dal momento che esso riduce la possibilità dei non vaccinati di accedere a tutta una serie di esercizi commerciali e persino di lavorare. Per altri il lasciapassare sarebbe una sorta di miracoloso portale che trasporta dalla pandemia verso la libertà, al punto da considerare il green pass (e non, invece, la vaccinazione) come la misura che ci ha consentito di affrontare con relativa tranquillità gli ultimi mesi.

In realtà, più probabilmente dietro il green pass sta semplicemente l’inettitudine e l’improvvisazione di chi ci governa ed è vittima del bias di overconfidence.

Torniamo al punto di partenza. A dicembre 2020, meno di un anno dalla comparsa di Sars-Cov-2 nelle nostre vite, vengono autorizzati i primi vaccini Covid, quelli di Pfizer e Moderna. Si trattava di un risultato straordinario, che però portava con sé la necessità di avviare campagne di vaccinazione di massa. Queste ultime dovevano fronteggiare due ordini di problemi: in primis, questioni strettamente logistiche (come immagazzinare, distribuire e somministrare milioni di dosi di vaccini); inoltre, come spingere le persone a vaccinarsi, sapendo bene che esiste una parte della popolazione tendenzialmente dubbiosa e esitante, quando non ideologicamente avversa ai vaccini. È in questo contesto che ci si pone il problema di incentivare le persone a decidere in favore della vaccinazione. Alcuni Paesi (in primis, gli Stati Uniti) scelgono la strada di incentivi “positivi”: chi si sottopone a vaccinazione riceve una somma in denaro o qualche altro genere di “premio”. Altri spingono su capillari campagne di informazione, come Portogallo e Spagna. Altri ancora scelgono incentivi “negativi”: rendere impossibile a chi non si vaccina di partecipare a tutta una serie di attività. Questa possibilità si presenta con sfumature diverse: dal richiedere un attestato di vaccinazione per partecipare a un evento pubblico con alta densità di partecipanti (per esempio un concerto) a domandarlo per andare a prendere un caffè al bar. È questo il contesto nel quale lo strumento del green pass europeo, inizialmente pensato per consentire gli spostamenti fra Paesi europei, viene dunque “esteso” a livello domestico.

L’Italia ha preso una strada “estrema”, o se si preferisce “rigorosa”, rispetto agli incentivi negativi. Ancora però non esistono analisi di dati, malgrado l’eccitazione per i big data, per capire se e come le misure sempre più invasive della libertà personale adottate dal governo si siano rivelate efficaci per raggiungere l’obiettivo di aumentare le vaccinazioni. A occhio non sembra si possa parlare di successo. Il cosiddetto green pass, versione nazionale, entrava in vigore il 6 agosto 2021, dopo essere stato introdotto con il Dpcm del 17 giugno per i viaggi esteri, recependo una decisione dell’Unione Europea. Lo scopo era appunto quello di incrementare le vaccinazioni anti-Covid. La tesi era che se si fosse impedito l’accesso a una serie di attività e abitudini, i cittadini si sarebbe vaccinati. In realtà si è avuta l’esplosione della domanda di tamponi. Chi governa e consiglia queste scelte deve avere idee molto personali e poco controllate sui motivi per cui le persone non si vaccinano.

Uno studio pubblicato su Lancet il 13 dicembre scorso ha confrontato gli effetti della certificazione obbligatoria in diversi Paesi. Secondo quel lavoro, la misura aveva dato risultati in Francia e Israele, facendo segnare un forte incremento dei tassi di vaccinazione in corrispondenza dell’annuncio. Le nuove vaccinazioni seguitavano a crescere anche dopo l’entrata in vigore del “pass”. In altri paesi, come Germania e Danimarca, non si è registrato alcun effetto. Gli autori dello studio ne concludono che è difficile valutare l’impatto della certificazione vaccinale in sé e per sé, perché esso dipende da quanto è stato fatto prima della sua introduzione. E in Italia? Oltre il 60% della popolazione si era già vaccinata con una dose e oltre il 50% aveva completato il ciclo. al momento dell’introduzione del pass. In qualsiasi campagna vaccinale, le persone che percepiscono di essere maggiormente a rischio (per i fattori più diversi) tenderanno a correre a vaccinarsi mentre al contrario altri esiteranno (anche in questo caso, per le ragioni più diverse e non necessariamente per ostilità ideologica al vaccino). Non è detto che per portare anche queste ultime a vaccinarsi sia necessario costringerle, cosa comunque possibile solo all’interno di certi limiti dati dalla necessità del consenso informato e dalla possibilità di rifiutare comunque un certo trattamento.

Non è detto, soprattutto, che sia più efficace questa strada che, per esempio, un’opera di persuasione dei loro pazienti da parte dei medici di famiglia. Il dibattito italiano ha semplicemente presunto che così fosse: nessuno lo ha dimostrato. Se si guardano le curve di andamento giornaliero delle vaccinazioni, l’effetto del green pass è stato modesto e legato alle contingenze, alla risposta alla singola nuova restrizione. Il fattore che ha fatto registrare un’impennata da novembre delle vaccinazioni è stata l’indicazione della terza dose. Da quando è stata decisa la vaccinazione obbligatoria la curva delle vaccinazioni giornaliere va calando. In pratica, e lo si vede guardando le curve, oltre la metà della popolazione italiana e praticamente gli stessi, si sono vaccinati in pochi mesi con le prime due dosi e poi con il richiamo, mentre la restante percentuale si è mossa con qualche inerzia e un paio di milioni di adulti non si è proprio vaccinato. Se si confronta l’andamento delle vaccinazioni, in termini di numero di vaccinazioni giornaliere, in diversi Paesi, alcuni dei quali hanno introdotto una forma di lasciapassare più o meno rigido, o nessun lasciapassare rispetto all’Italia, si osserva ancora che le curve salgono rapidamente per qualche mese dopo l’inizio della campagna di vaccinazione, quindi decrescono o precipitano nell’arco di un mese circa dopo che si è vaccinata la percentuale di persone disposte a vaccinarsi. La curva riprende a salire rapidamente quando arriva l’indicazione del richiamo e ancora dopo un paio di mesi, cioè quando si sono vaccinate le persone ancora disposte a vaccinarsi, per poi tornare a calare.

Ora, dall’inizio della pandemia, nessuno ha provato a analizzare l’impatto delle diverse misure, né a studiare se e come la stessa misura può funzionare meglio o peggio in diversi contesti. Per lockdown e mascherine sarebbe difficile trarre informazioni, anche se sarebbe interessante sapere in che misura le mascherine all’aperto servono a qualcosa. Ma per quanto riguarda i vaccini è un’altra questione. Il ministro Speranza, annunciando la scelta del governo di introdurre l’obbligo vaccinale e che erano stati scaricati circa 200 milioni di green pass, affermava che il suo ministero, allo scopo di ridurre l’area dei non vaccinati, avrebbe predisposto un elenco di inadempienti all’obbligo vaccinale per gli over 50. A fronte del rischio di un’intrusione statale ingiustificata nel diritto fondamentale di privacy, il ministro ha invocato la previsione del GDPR (il regolamento europeo per la protezione dei dati personali) che consente il trattamento dei dati relativi alla salute per motivi di interesse pubblico. Tuttavia, qualche dubbio sulla sostanziale legittimità di questa operazione permane. La domanda che ci si fa è come mai l’elenco delle persone non vaccinate non è stato usato per mobilitare dei medici di medicina generale a parlare con i loro pazienti esitanti e convincerli che i vaccini sono sicuri ed efficaci. Esiste un’ampia letteratura su quali possono essere gli interventi dotati di qualche efficacia al fine di far cambiare idea agli esitanti, ma tra questi, almeno nei Paesi dove prevalgono valori liberali e i cittadini hanno diritto di rifiutare un trattamento, di norma non ci sono i ricatti tipo green pass e obbligatorietà.

Da ultimo, è difficile non notare come gli architetti del green pass si siano mossi sin qui seguendo il canovaccio che immaginavano i loro critici. Pensiamo al ministro che ha esultato a favore di telecamera dicendo che l’Italia sarebbe stato il primo Paese nel quale il green pass sarebbe servito anche per andare in banca. Pensiamo soprattutto al fatto che l’ambito di applicazione del green pass è stato costantemente ampliato, da settembre a oggi, a dispetto della crescita della popolazione vaccinata. Se il pass serve da incentivo, uno si aspetterebbe che possa essere una coperta che può essere tirata in più direzioni. Banalmente, dal momento che viene richiesto per recarsi sul posto di lavoro, forse non è più necessario chiederlo all’ingresso al ristorante, o al cinema, come facevamo prima che venisse richiesto sul posto di lavoro. L’obiettivo non dovrebbe essere costringere quante più persone possibile a scansionare QR code ma, per l’appunto, vaccinare quante più persone possibile. In una Regione come la Lombardia, per esempio, dove la percentuale di vaccinati sfiora il 90%, ha senso continuare a obbligare a esibire il pass per entrare in un nuovo luogo? Senza nemmeno considerare il fatto (pure non secondario) che non vaccinato non significa ipso facto malato o contagioso, la stragrande maggioranza delle persone non vaccinate, a questo punto, probabilmente coincide con gruppi che non hanno bisogno, piacere o possibilità di avere un’intensa vita sociale. Non c’è stata, da questo punto di vista, nessuna disponibilità a ritirare lo strumento. Si è ipotizzato che l’ambito di applicazione dovesse e potesse solo crescere. Ma perché? In che senso questo è utile? Al fine di incentivare la vaccinazione, non lo è per nulla. In Italia è frequente che la politica confonda i mezzi e i fini. In questo caso, facendolo ha dato buoni argomenti ai critici della “dittatura sanitaria”, buoni argomenti che purtroppo verranno usati per alimentare proprio l’ostilità ai vaccini, che si voleva ridurre ed evitare.


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