di Sabrina Commis (fonte Gazzetta dello Sport)
Amare lo sport al punto da farlo diventare una dipendenza, tanto da non poter stare un giorno senza: fino a che punto è un bene allenarsi con costanza e regolarità, e quando questa costanza e regolarità diventano un’ossessione? “Termini generali come dipendenza da sport contemplano comportamenti di origine molto diversa che hanno in un rapporto malsano con le pratiche sportive il loro esito finale”, dice a Gazzetta Active il professor Andrea Fossati, direttore del Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia all’Ospedale San Raffaele Turro, professore ordinario di Psicologia clinica e preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Parlando di rapporto ‘malsano’ con lo sport, il professor Fossati chiarisce: “Si intende con questo termine un uso disfunzionale dello sport. Ma non è sempre facile distinguere una dipendenza da una passione, in ambito sportivo”.
QUANDO LO SPORT DA' DIPENDENZA—Ci sono però degli indicatori che possono avvertirci che qualcosa non va nel nostro rapporto con l’attività sportiva: “Ad esempio, quando lo sport diventa così estremo o viene praticato con una tale frequenza da causare danni fisici in coloro che non hanno una base da atleta professionista o semi-professionista - spiega Fossati -. Spesso, infatti, coloro che subiscono queste conseguenze negative sono gli atleti amatori che si rivolgono alla preparazione di performance estreme”. In questi casi più che mai è fondamentale seguire tabelle di allenamento dettagliate ma anche conoscere i propri limiti. “E’ però tipico degli sportivi spostare sempre un po’ più in là il proprio limite”.
LO SPORT COMPULSIVO—Alzare il proprio livello non è sempre negativo. Il problema sorge quando lo si innalza ad un punto tale che sono più gli effetti negativi di quelli positivi. C’è poi un altro distinguo importante da fare. “Dove c’è un rapporto autenticamente problematico con lo sport è quando lo sport diventa una compulsione, qualcosa che non è più un desiderio ma una sorta di obbligo morale, un’idea fissa - sottolinea il professor Fossati -. Così si inizia a mettere lo sport prima di qualunque altra attività o persona, si incastrano il lavoro, la famiglia, gli affetti tra un allenamento e l’altro”. In altre parole, lo sport diventa il fulcro della nostra vita. E questo, quando non si è atleti professionisti, può senza dubbio essere un segnale di dipendenza.
SPORT COME DIPENDENZA: IL RISCHIO DELLA COMPULSIVITÀ—Tra gli atteggiamenti compulsivi che possono essere messi in atto dagli sportivi, Fossati ne indica in particolare uno: “Gli sport, si sa, richiedono una certa frequenza di allenamento, che alla lunga può rientrare in schemi ripetitivi di comportamento, generando vere e proprie routine. Se una persona è portata a controllare sempre quanto ha appena fatto e una volta terminato l’allenamento non è certa di aver fatto tutto correttamente, finita la sessione potrebbe decidere di ripartire e rifare tutto daccapo - spiega Fossati -. E questo, comprensibilmente, diventa un consumo di tempo e un consumo fisico, che non fa bene al proprio corpo e alla propria vita sociale”.
DIPENDENZA DA SPORT E DISTURBI ALIMENTARI—C’è poi il vasto mondo della dipendenza da sport dettata da rapporti problematici con il proprio aspetto fisico e con il cibo. Non sono infrequenti i casi di persone con anoressia o bulimia nervosa che si buttano a capofitto nello sport per consumare quanto più possibile calorie e bruciare tutto il (poco) cibo ingerito. “Quella legata al controllo del peso e ai disturbi alimentari propriamente detti è una delle forme più diffuse di rapporto disfunzionale con lo sport - conferma Fossati -. Lo sport viene utilizzato come modalità per controllare il peso e aumentare il consumo calorico: tutto deve essere finalizzato a garantire che lo sport porti a consumare tutte le calorie assunte. In questi casi l’attività sportiva non è più un mezzo per migliorare se stessi e la propria performance, ma un metodo di controllo del peso, il cui possibile aumento genera angoscia. E’ quello che accade nella vigoressia, un disturbo tanto presente tra chi pratica sport quanto sfuggente nei criteri diagnostici”.
DIPENDENZA DA SPORT E FORMA FISICA—Un certo desiderio di migliorare la propria forma fisica, del resto, è comune a quasi tutti coloro che praticano sport. E finché resta solo un incentivo a migliorare, senza esagerare, è buona cosa. “Il punto è capire quando il piacere dello sport viene sovrastato dal desiderio di migliorare la propria forma fisica e il metabolismo. Questo succede soprattutto nelle discipline che richiedono un elevato dispendio energetico: in alcuni casi si è propensi a farle non tanto per il piacere intrinseco dell’attività, quanto per i suoi effetti a livello fisico-estetico”, sottolinea Fossati.
QUANDO LA PASSIONE DELLO SPORT DIVENTA UNA DIPENDENZA—Al di là di questi casi specifici, però, quella che è forse la forma più comune di dipendenza da sport, di passione che diventa ossessione, si palesa nel momento in cui lo sport passa dal generare piacere disinteressato al generare stress e obiettivi sempre più elevati, talvolta irraggiungibili. “C’è chi è insoddisfatto del proprio lavoro, della propria vita, dei propri affetti, e trova nello sport una valvola di sfogo. Tuttavia, se si inizia a pensare di avere l’unico momento di gioia nello sport, ci si immagina grandi campioni e ci si comporta come se lo si fosse, allora si può entrare in un circuito in cui lo sport più che momento di evasione diventa una vera e propria prigione, che talvolta può far sembrare lecito anche l’utilizzo di sostanze illecite e dopanti”, sottolinea il professor Fossati. In altre parole, nel momento in cui si sacrificano tutte le attività lavorative e sociali per fare sport, ci si deve domandare che cosa sta accadendo. Quando ci si rende conto di vivere per l’allenamento e non viceversa, e che l’allenamento esaurisce la propria vita, significa che lo sport, da passione, è diventato prigione.