Ogni atleta, giovane o adulto, porta con sé un bagaglio di emozioni, insicurezze, aspettative. "Accoglierle senza giudizio è il primo passo per costruire fiducia. Quando un allievo sbaglia - suggerisce la Montorsi - prima di correggerlo tecnicamente, chiediamoci: 'Come si sente? Cosa sta vivendo in questo momento?'. A volte basta uno sguardo empatico o una frase di comprensione per creare quello spazio sicuro dove il miglioramento tecnico diventa possibile".
"L’autorevolezza - sottolinea la psicologa - non nasce dal tono di voce duro o dalla distanza emotiva, ma dalla coerenza tra ciò che diciamo e ciò che siamo. Essere autentici può aiutare l’allievo a sentirsi meno solo. Un allenatore che sa dire 'capisco profondamente cosa stai provando' educa alla resilienza più di mille ordini".
In un’epoca in cui tutto sembra misurato in vittorie e performance, "è fondamentale ricordare che la disciplina vera nasce dal senso, non dalla paura di fallire. Lodare l’impegno, la costanza, la capacità di rialzarsi, permette all’allievo di motivarsi dall’interno. È così che la disciplina smette di essere un’imposizione e diventa una scelta consapevole".
Umiltà non significa sentirsi piccoli, ma sapere che si può sempre imparare, crescere, migliorare. "Un allenatore che guida senza imporsi, che accetta i feedback e si mette in gioco, trasmette un modello di umiltà attiva. Questo atteggiamento - spiega l’esperta - educa al rispetto, alla collaborazione e a una leadership matura, capace di ispirare".
“L’empatia non è debolezza: è lucidità emotiva. Significa saper leggere il momento dell’altro, intuire quando serve una spinta e quando, invece, un abbraccio simbolico. L’allenatore empatico non perde l’obiettivo, ma lo adatta al ritmo interiore dell’atleta. Sa che ogni percorso ha curve, rallentamenti e riprese. E proprio perché sente, riesce a guidare meglio. Empatia è anche imparare a tacere, quando serve, e parlare solo per sostenere, non per dominare. È così che si educa alla responsabilità senza generare frustrazione".
Attenzione: anche l’approccio mentale può diventare tossico, se non è guidato da equilibrio e rispetto. Elena Giulia Montorsi elenca alcuni warning che indicano un allievo in difficoltà, anche quando apparentemente "funziona" in allenamento. "Se compaiono questi segnali, è fondamentale fermarsi e ricalibrare. A volte basta cambiare il tono, dare spazio al dialogo o rivedere le aspettative. L’obiettivo non è allenare la mente a resistere sempre, ma educarla ad ascoltarsi e autorigenerarsi".
I segnali d’allarme di un allievo in difficoltà:
Paura costante di sbagliare o ansia da prestazione cronica
Perdita di entusiasmo, apatia o automatismo negli esercizi Autocritica eccessiva, vissuta come identità (“non valgo nulla”)
Isolamento emotivo: l’atleta si chiude, non parla, evita il contatto
Eccessiva dipendenza dal giudizio dell’allenatore