mercoledì 7 luglio 2021

DIABETE

LA DIETA IN GRADO DI CONTROLLARE LA MALATTIA

Dieta su misura. È questa la regola per chi fa i conti con il diabete. Ma ci sono novità importanti, in termini generali, che emergono dal congresso dell’ADA (Amedican Diabetes Association) e possono trasformarsi in consigli utili. Per riassumerli ecco i consigli di Olga Vaccaro, ordinario di Endocrinologia, Università Federico II di Napoli presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II.

La rivoluzione dell’insulina

“Prima della scoperta dell’insulina la terapia nutrizionale del diabete riguardava sostanzialmente il diabete tipo 1 e consisteva in una severa riduzione dei carboidrati e delle calorie (starvation diet o dieta del digiuno) questo permetteva ai bambini con diabete di sopravvivere per qualche tempo, ma con gravi conseguenze sullo stato nutrizionale e sull’accrescimento – spiega l’esperta. Con la scoperta dell’insulina (circa 100 anni fa)  si è passati a diete più coerenti con le necessità nutrizionali dell’organismo, aumentando il contenuto calorico e dei carboidrati. Intorno agli anni 50 si è riconosciuta la necessità di una maggiore ‘liberalizzazione’ della dieta per renderla più simile a quella delle persone non diabetiche e favorire l’adesione utilizzando il principio della “lista di scambio”, cioè la possibilità di sostituire tra loro alimenti con simile composizione in nutrienti”. Poi sono arrivate le ricerche sui carboidrati e sugli effetti metabolici dei diversi alimenti, oltre a quelle sul ruolo negativo dei grassi dietetici. Ed arriviamo all’oggi: “sono considerate accettabili percentuali di carboidrati dal 45 al 65 % della quota calorica – riprende l’esperta. Un approccio nutrizionale più moderno è centrato sugli alimenti, piuttosto che sui nutrienti, poiché si è compreso che gli effetti metabolici di un alimento non sono solo spiegati dalla somma dei nutrienti che lo compongono, ma sono anche modulati dalla matrice in cui questi nutrienti sono contenuti.

Anche combinare tra loro diversi alimenti contribuisce a modulare gli effetti metabolici, per questo oggi si dà molta importanza al ‘modello’ alimentare nel suo complesso. Modelli come quello Mediterraneo basato prevalentemente su alimenti di origine vegetale, non processati e sull’olio di oliva si sono dimostrati salutari per il trattamento del diabete e la prevenzione cardiovascolare e sono anche quelli più sostenibili dal punto di vista dell’impatto ambientale. Sulla base delle conoscenze attuali la terapia nutrizionale del diabete deve rappresentare un approccio globale alla salute della persona (es. trattamento del diabete, ma anche prevenzione delle malattie cardio-vascolari e di altre patologie croniche degenerative), deve essere anche economicamente accessibile per le persone ed ecologicamente sostenibile”.

L’importante è personalizzare

Non si può e non si deve, comunque, ragionare in termini generali. Anche e soprattutto se la persona con diabete di tipo 2 sta assumendo farmaci. Perché sia la risposta alle terapie che quella alla dieta sono legate a fattori individuali (antropometria, assetto ormonale, patrimonio genetico, microbiota intestinale, ecc). “Una stessa dieta non ha gli stessi effetti su tutte le persone – riprende l’esperta. Diversi studi hanno evidenziato che le persone esposte allo stesso alimento hanno una risposta metabolica diversa (esempio livelli post-prandiali di glucosio, lipidi, insulina etc..) e addirittura la stessa persona, esposta ad uno stesso pasto in occasioni diverse, presenta risposte metaboliche differenti. Si parla quindi sempre di più di nutrizione personalizzata. È possibile effettuarla ad esempio nel trattamento delle malattie congenite del metabolismo, dovute a difetti genetici noti che interessano generalmente un solo gene. Tuttavia la grande variabilità della risposta metabolica agli alimenti è controllata da fattori genetici che coinvolgono una molteplicità di geni, non tutti noti, ed è anche potentemente modulata dallo stile di vita ed altre esposizioni ambientali. Al momento le conoscenze sui determinanti di questa grande variabilità biologica non sono sufficienti per permettere una identificazione precisa dei diversi ‘metabotipi’ ed un’applicazione clinica su larga scala. Le metodologie di studio a nostra disposizione sono ancora inadeguate ed occorre sviluppare metodi più precisi per misurare gli introiti e gli effetti”.

 

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